La metodologia di lavoro nell’ambito dei percorsi di formazione
Le proposte che seguono intendono seguire una modalità di lavoro che si basa su due aspetti specifici ma interrelati, intorno ai quali si sviluppa il processo di formazione stesso di ciascun corsista e che caratterizza ognuno dei corsi presentati, quali:
Il Laboratorio di Sviluppo Professionale
Esso è pensato sia come spazio fisico dove docenti si incontrano per confrontarsi, riflettere, discutere, sia come spazio mentale dove il singolo e il gruppo si incontra per ripensare il proprio modo di fare scuola. In questa prospettiva, ciascun incontro previsto dai singoli corsi sarà caratterizzata da tale impostazione, che precederà, poiché ne costituirà l’aspetto metodologico propedeutico, la parte più scientifica e ricca di insegnamenti contenutistici di interesse dei corsisti. La finalità di tale modalità di condurre la formazione per insegnanti è quella di costruire significati e conoscenze condivise, partendo dalla messa a confronto di ciò che si fa o non si fa nel quotidiano a scuola, attraverso l’input dato dai formatori ai corsisti a raccontarsi e a raccontare ai presenti le loro esperienze concrete quotidiane per avere dagli uditori, che divengono nel contempo parte attiva del lavoro altrui, stimoli a riflettere, ad arricchirsi professionalmente, ad ampliare i loro interessi e le loro conoscenze. Inoltre, nell’ambito di tale modalità di conduzione del corso, si mirerà all’acquisizione di strumenti e strategie educativo-didattiche da sperimentare nei contesti di lavoro dei corsisti e da diffondere nella scuola come buone pratiche di azione formativa. Secondo tale modalità operativa e finalità di formazione, il gruppo partecipa attivamente ed anche in modo interattivo per contribuire a favorire la crescita di una comunità di apprendimento. La modalità di formazione è, dunque, di tipo collaborativo e cooperativo, attorno ad un compito comune, che sarà diversificato a seconda dell’oggetto del corso prescelto.
Lo staff dell’associazione, infatti, condivide il pensiero di Kilpatric attraverso cui “si è estesa la considerazione del laboratorio quale luogo privilegiato della costruzione e dell'organizzazione strutturata dell'esperienza. […] Si tratta delle tesi proprie della scuola attiva che possono ancora oggi aiutare nell'allestimento dei laboratori territoriali per la formazione e, soprattutto, per l'autoformazione dei docenti. Questi ultimi vengono sollecitati nell'attività laboratoriale a riflettere sulla propria esperienza professionale per arricchirla grazie allo studio e al confronto partendo da una considerazione basilare: educare è essenzialmente un'azione pratica che non ha senso se non è efficace ed è vana se non è governata da teorie che la giustificano e ne consentono lo sviluppo”. (R. Murano, La scuola come laboratorio, Indire)
In tale prospettiva, i corsi di formazione proposti intendono sollecitare l’insegnante a diventare “un professionista se consolida una propria biografia professionale, se entra in un ciclo vitale di esperienze di crescita culturale, che comporta la partecipazione ad azioni (il "normale" insegnamento, i progetti, le ricerche, i corsi, ecc.), ma soprattutto la capacità di riorganizzare e migliorare le proprie esperienze di lavoro attraverso un approccio che si può definire cognitivo-riflessivo, cioè rimettendo in gioco le proprie risorse cognitive ed emotive (G.P.Quaglino, 1985).
Tenendo conto delle sopracitate considerazioni teorico-metodologiche, ai fini di un funzionamento ottimale dell’attività di formazione, è prevista la creazione di un gruppo con 25 partecipanti per ogni corso. Se la richiesta sarà superiore, è prevista l’attivazione di più corsi.
La metodologia della Ricerca-azione
Nell’attivazione dei percorsi di formazione, ci si ispira alla metodologia della ricerca-azione che, secondo Trinchero è “una strategia di ricerca che mira a fornire delle risposte efficaci ed efficienti ad un problema percepito dagli operatori in un dato contesto, individuando criticità nell’attività concreta di chi opera sul campo e delineando e sperimentando linee di intervento adeguate a quel contesto”. Secondo l’autore, infatti, “lo scopo principale della ricerca azione non è quello di produrre conoscenza scientifica da utilizzare in un secondo momento in contesti concreti, ma produrre conoscenza contestualizzata volta a migliorare una determinata pratica educativa. Tale miglioramento prevede il cambiamento della realtà sotto esame attraverso la modificazione dei comportamenti degli attori in essa coinvolti. L’azione è la materia prima della ricerca, l’obiettivo è trasformare la realtà e non limitarsi a raccogliere dati su di essa. Il miglioramento della pratica educativa viene determinato sulla base di criteri di efficacia (congruenza tra obiettivi dell’educazione e mezzi impiegati per ottenerla) ed efficienza (raggiungere gli obiettivi prefissati con il minimo impiego di risorse disponibili), ma anche di soddisfazione degli operatori, nei suoi aspetti psicologici (gratificazione personale derivante dal lavorare meglio) e socio-economici (riconoscimento di status).” Proprio in virtù di tali principi, si è scelto di utilizzare questa metodologia perché, nel nostro caso, permette di costruire significati e conoscenze condivise tra i partecipanti, partendo dall’esperienza di tutti.
Ogni corso sarà dunque concepito ed attivato come un processo ciclico tra esperienza, riflessione e conoscenza di ciascun insegnante, il quale procederà da una fase di ricerca e di riflessione personale, all’indagine osservativa e pratica dei problemi e delle difficoltà che incontra giorno dopo giorno nella sua classe. Tale approccio apprenditivo consentirà ai corsisti di far emergere le criticità legate alla propria professione ma anche ai fattori contestuali, e ai punti di forza che emergono principalmente nella consapevolezza della possibilità di superare le difficoltà via via incontrate, utilizzando al meglio le proprie capacità; consapevolezza che deve portare allo sviluppo dell’insegnante (J.C. Richards).
Sulla base di questo sfondo metodologico, ogni docente sarà stimolato ad assumere l’atteggiamento del ricercatore nell’agire professionale, quindi nella sua capacità di accrescere conoscenze e competenze, riflettendo sulle proprie azioni nel proprio contesto professionale, mentre esse stesse si stanno svolgendo. Si tratta, in buona sostanza, del “docente-professionista riflessivo (che) diventa una ‘ipotesi’ più realistica e praticabile – e meno sofferta – all’interno di una scuola che in modo chiaro e determinato cerca di farsi ‘ambiente organizzato di apprendimento’ non solo per gli alunni ma anche per i docenti. Non a caso negli ultimi anni, anche in sede di formazione e di negoziazioni sindacali si è andato affermando il convincimento che le scuole – da sole, in rete o in centri territoriali - possano e debbano diventare luoghi di sviluppo professionale, una prospettiva diversa e più articolata rispetto a quelle di ‘aggiornamento e formazione in servizio’. Le proposte di Schon potrebbero essere anche un modo per far ‘emergere le teorie implicite’ di cui molti docenti sono portatori e per conseguire sempre maggiori livelli di padronanza e di consapevolezza condivisa, condizioni indispensabili e acquisizioni preziosissime per realizzare nella organizzazione e nella gestione dei processi formativi effettiva autonomia e responsabilità diffusa.” (U. Landi, Professionista riflessivo).
Alla luce di tali considerazioni, la finalità dei nostri corsi è quella di suscitare in ogni partecipante quello sviluppo personale e professionale che indica un cambiamento ad ampio raggio; vale a dire, un cambiamento nei modi di pensare, negli atteggiamenti e nelle attività svolte; un cambiamento nel rivedere il proprio modo di comportarsi in classe, nell’utilizzare nuove strategie, nell’adottare nuove pratiche didattiche; un cambiamento che non è necessariamente immediato o totale.